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Luglio 1973 - Bruno Angelo Sforzini

Bruno Angelo Sforzini
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Luglio 1973

Motociclismo > Altre Storie di Moto

Siamo a Milano Marittima. Un gruppo di allegri ragazzini in sella a i loro motorini percorre la sterrata che attraversa la pineta da viale Ravenna (quella dove c’è lo Stadio Comunale, in estate c’era il luna park e la disco Papagayo) e via Stazzone, entrambe ora chiuse completamente al  traffico e da anni diventate pendonali  ciclabili.
Allora era una specie di terra di nessuno, le auto non ci passavano, tutti gli altri sì.
Sono tutti di Cervia, il proletariato della zona balneare, ruspanti e popolani: “ragazze (veramente il termine esatto non era questo) e mutor” sono il loro credo, mentatlità e concetti abbastanza distanti dai loro coetanei borghesi di Milano Marittima.
E’ notte, saranno le dieci poco più, l’allegra comitiva sfreccia per la sterrata alla velocità che permette il buio totale dentro questa ..foresta.
Lo fanno praticamente ogni  sera, dopo aver scorrazzato per Milano Marittima vanno a ritrovarsi nel bar con pattinaggio nei pressi delle Terme.
La via diretta prevede anche un’attraversamento dei binari della ferrovia al limite della pineta, dove ora c'è un cavalcavia ciclabile.
Sullo stesso percorso, a piedi, evidentemente annoiati ci sono alcuni gruppetti di ragazzi “cittadini” in vacanza  (allora la transumanza ci portava principalmente milanesi, bolognesi e torinesi per una durata fissa di un mese)
Dalla strada bianca al passaggio del gruppo in fila indiana si solleva un po’ di polvere perciò l’ultimo della fila, stanco di vedere solo nebbia decide di che è il suo turno per stare davanti.
Uno schianto secco e fulmineo, cinque secondi di concitazione, ronzio di motori poi silenzio attonito nel buio, finchè qualcuno con la Vespa 50 non riaccende il motore per fare luce.
In terra ci sono i resti di una panchina di tronchetti di pino tranciata quasi in due, un Oscar Mister College PROTOTIPO (che nome commerciale altisonante per un comune tubone che andava per la maggiore in quegli anni) con la forcella piegata.

Spalmato sulla ghiaia c'è anche un ragazzino occhialuto di quindici anni frastornato, con una miriade di sassolini appuntiti piantati nei gomiti sanguinanti ma incredibilmente vivo, quasi illeso: sbalzato in avanti per l'urto, ha ruotato in avanti in aria di un giro completo piombando nella ghiaia con schiena ed i gomiti.

Il gruppo degli annoiati cittadini forse in preda a raptus omicida, (i lanci di sassi dal cavalcavia li hanno inventati solo venti anni più tardi) o forse per un malato spirito di rivalsa verso quei contadini che ogni sera erano in giro a divertirsi con poco; ma sicuramente per stupidità/imbecillità insanabile hanno asportato tutte le panchine dai lati della strada e le hanno disposte perpendicolarmente in mezzo alla strada in uno schema a scacchiera casuale generando una serie di micidiali ostacoli al buio.
Sono passati più di quarant'anni da quella drammatica notte, quello stesso anno un mio carissimo amico ha perso la vista a quindicianni in un contesto del tutto analogo, ma IO ME LA RICORDO BENE.
Mi rivolgo a te, autore di quella sciagurata azione, assieme ai tuoi pari livello che ti hanno assecondato ed aiutato.
Auspico e spero che siate tutti morti prima che poteste riprodurvi, prima di dare vita ad una nuova progenie di imbecilli che avrebbe imbrattato la terra dato che la stupidità e l’imbecillità sono genetici (quindi congeniti) ci si nasce e non si guarisce.
Non credo alla giustizia divina (ancor meno a quella degli uomini!) perciò non potrò mai essere certo che ha seguito il suo corso, ma anche se non ti incontrerò mai perché confido negli auspici di cui sopra, so che potrò vedere la tua faccia in ogni politico o venditore di auto che incontro: gli unici mestieri che ti sono consoni nel malaugurato caso in cui tu sia ancora vivo.
Quel ragazzino con gli occhiali ero io e quella sera l’Onnipotente ha deciso che per me, al contrario di tantissimi miei sfortunati amici che ho perso nel corso degli anni, l’esistenza doveva continuare.

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